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Un articolo del quotidiano progressista Haaretz comincia con una frase che riassume alla perfezione il significato di questi giorni israeliani: «Per la prima volta in oltre due anni, nessun ostaggio ancora vivo è nelle mani di Hamas». È quel «per la prima volta» che fa comprendere la portata storica di questo momento. Nei tunnel della Gaza martoriata dalle bombe, non ci sono più uomini e donne d’Israele. I vivi sono tornati. Ora si aspettano i corpi degli ostaggi che non ce l’hanno fatta, ma qui, «per la prima volta da due anni» si respira. Gli ultimi venti prigionieri — tutti maschi, quasi tutti giovani e quasi tutti rapiti al Nova Festival — sono con le loro famiglie negli ospedali più grandi del Paese. Fanno visite e controlli e passano il tempo con chi li ha aspettati per 738 giorni, perdendo voce e sonno per farsi ascoltare da un primo ministro accecato dalla guerra, che spesso sembrava dimenticarsi la priorità del suo popolo: riportare tutti a casa. E a 48 ore dal loro rilascio, questi giovani uomini iniziano a raccontare che cosa hanno vissuto sul corpo e nell’anima. Le torture, le cicatrici, ma anche le speranze. La fame, la solitudine e la paura che a casa non fosse rimasto più nulla, che il Paese fosse stato raso al suolo. Le catene alle caviglie, una pita divisa con gli altri compagni. Il terrore delle bombe israeliane che cadevano inesorabilmente. E quegli aguzzini, che non hanno avuto nessuna pietà. 👉  Leggi l'articolo completo di Greta Privitera, inviata a Tel Aviv, sul Corriere  #israele #gaza #strisciadigaza #ostaggi
Un articolo del quotidiano progressista Haaretz comincia con una frase che riassume alla perfezione il significato di questi giorni israeliani: «Per la prima volta in oltre due anni, nessun ostaggio ancora vivo è nelle mani di Hamas». È quel «per la prima volta» che fa comprendere la portata storica di questo momento. Nei tunnel della Gaza martoriata dalle bombe, non ci sono più uomini e donne d’Israele. I vivi sono tornati. Ora si aspettano i corpi degli ostaggi che non ce l’hanno fatta, ma qui, «per la prima volta da due anni» si respira. Gli ultimi venti prigionieri — tutti maschi, quasi tutti giovani e quasi tutti rapiti al Nova Festival — sono con le loro famiglie negli ospedali più grandi del Paese. Fanno visite e controlli e passano il tempo con chi li ha aspettati per 738 giorni, perdendo voce e sonno per farsi ascoltare da un primo ministro accecato dalla guerra, che spesso sembrava dimenticarsi la priorità del suo popolo: riportare tutti a casa. E a 48 ore dal loro rilascio, questi giovani uomini iniziano a raccontare che cosa hanno vissuto sul corpo e nell’anima. Le torture, le cicatrici, ma anche le speranze. La fame, la solitudine e la paura che a casa non fosse rimasto più nulla, che il Paese fosse stato raso al suolo. Le catene alle caviglie, una pita divisa con gli altri compagni. Il terrore delle bombe israeliane che cadevano inesorabilmente. E quegli aguzzini, che non hanno avuto nessuna pietà. 👉 Leggi l'articolo completo di Greta Privitera, inviata a Tel Aviv, sul Corriere #israele #gaza #strisciadigaza #ostaggi

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